QUELLA BUGIA DETTATA DAL CUORE CHIAMATA… POESIA
(introduzione alla raccolta di poesie “Un poeta borghese”)
Mi scuso con chi che riterrà queste mie note di chiarimento superflue o perfino fuor di luogo, ma vi sono stato indotto dalla volontà di esaudire la richiesta di quanti, non contenti di una semplice lettura, si sono interrogati sul significato da dare all’intera raccolta.
Ed allora, spronato nel mio amor proprio, dirò subito che anche “Un poeta borghese”, come la precedente raccolta di poesie “Appunti di viaggio”, testimonia di un cammino, di un viaggio appunto, che viene tuttavia condotto non più in una prospettiva esclusivamente esistenziale, bensì sul piano della ricerca poetica: è, prima di tutto, un viaggio nella poesia.
Un’indagine sulla “ragion poetica”, dunque, che parte da un componimento indicato come prologo, “L’abbaglio del mare”, fino ad arrivare ad una poesia, “A Mariella”, che ne costituisce l’epilogo proprio perché si risolve nel suo ribaltamento.
“L’abbaglio del mare” è una poesia di partenza poiché risulta ancora intrisa di quella vena elegiaca che ha contraddistinto talune mie opere giovanili: l’esperienza del vivere viene qui percepita come conflitto tra l’io e il mondo, tra un io concepito come puro dolore ed un mondo concepito come puro piacere, nei cui confronti l’io si trovi a recitare un ruolo di spettatore, accigliato e melanconico. E’, quindi, una poesia che si avvolge su se stessa, che ha per centro l’io nell’esperienza del suo lutto, una poesia dell’anima, insomma.
“A Mariella”, invece, è una poesia del corpo (“il corpo della poesia”, come recita il sottotitolo), ossia una poesia di approdo, giacché il medesimo spettatore, rompendo ora gli indugi, si decide finalmente a cacciarsi nel campo di gioco e a giocare in attacco la partita della sua vita; in tale componimento, pertanto, si prende definitivamente atto che la vita comporta anche l’esperienza del piacere oltre all’esperienza del dolore, si assume la responsabilità di accettare, una volte e per tutte, che la vita è godimento oltre che dispiacere, dismettendo in tal modo il comodo e protettivo abito del vittimismo per vestire i panni della vita, fatta oggetto adesso di rivalutazione, nel bene e nel male, nel complesso dei valori umani di cui è portatrice.
Proprio la radicale adesione ai valori umani, a quel “fattore irriducibilmente umano” che si disvela dietro ogni esperienza, costituisce allora il filo conduttore di questa raccolta, quel filo che consente di legare tra loro alcune poesie a doppia lettura e di scorgere, dietro la varietà dei temi che ne costituiscono l’occasione, l’unicità del loro significato profondo.
Così, nella poesia religiosa “Con simpatia”, il messaggio di amore che si cela nella semplicità di un sorriso riesce a penetrare nell’animo umano più della stessa Parola divina o degli elaborati sermoni domenicali; così, nella poesia politica “Il tempo delle idee”, la lettura commossa di una rima tocca le corde umane più degli impegnati proclami militanti, giacché il “fattore irriducibilmente umano”, rappresentato idealmente in questa poesia dalla forza comunicativa dell’amore, costituisce, mutuando il linguaggio marxista, un dato strutturale, a differenza dell’ideologia politica che, nella sua mutevolezza storica, costituisce un dato sovrastrutturale (ma questo, per gli “impegnati militanti”, è pane per i loro denti: può assumersi, in effetti, un’affermazione più borghese, un rovesciamento più intollerabile del pensiero marxista?)
Il “fattore irriducibilmente umano” getta una luce sul significato di altre poesie a doppia lettura, le quali si rivolgono più specificamente ad analizzare il rapporto tra arte e vita, come “Sono un poeta”, dove tale argomento viene affrontato in modo diretto, o come “Cicciuzza”, dove questa analisi viene condotta ricorrendo ad una storia. Contro una concezione elitaria dell’arte ed in polemica con Edoardo Sanguineti, “Sono un poeta” esprime l’orgoglio di una poesia disancorata da ogni militanza ideologica e fondata sulle strutture istintuali e psichiche profonde ovverosia, per l’appunto, su quei fattori irriducibilmente umani – da tutti intelligibili – che sono rimasti sostanzialmente uguali a se stessi attraverso i millenni (il “linguaggio del cuore selvaggio … il quale, se è vero che è fiero / può darsi sia eterno!”). La poesia “Cicciuzza”, poi, lungi dal costituire solo una dedica o un dolce acquarello di vita quotidiana di coppia, rappresenta in primo luogo un appassionato manifesto poetico (“non guardare ai miei lirici parti / come ad intimi porti / o ad ermetiche porte / Ti parrebbero sterili arti / metrici aborti / lettere morte / Perché tu sei la vita, Cicciuzza / solo tu mi fai essere forte”).
L’aver affermato il primato dell’esperienza umana, dell’esistenza terrena, comporta però l’accettazione della vita così com’è, nella consapevolezza ineluttabile dei suoi limiti e delle sue contraddizioni, direi strutturali al vivere, per ogni uomo e in ogni tempo, innanzi all’abisso insondabile che sempre lo separerà dal Vero; con la precisazione che questa distanza, nell’epoca che attualmente viviamo, si è fatta ancora più marcata, per via del dilagante conformismo che informa la nostra esistenza massificata, per via della logica dell’apparire che ha sostituito la logica dell’essere, dell’”etica dell’etichetta” e chi più ne ha più ne metta (è un’analisi che gode, oramai, di un consenso trasversale!).
Alla luce di quanto appena detto, allora, non dovrà apparire strano al lettore se ai suoi occhi balzeranno, nel corso della lettura, contraddizioni e ambiguità, mutamenti di prospettiva in apparenza fortuiti, disinvolti rovesciamenti di significato e, talora, perfino paradossi: in un’epoca in cui la distanza dal vero è abissalmente accresciuta proprio per effetto del distacco che la nostra civiltà dei consumi ha prodotto tra l’io e i suoi bisogni reali, tra l’io profondo e la sua maschera sociale, questo incedere mi è parso il modo più appropriato di rappresentare il tempo in cui viviamo e comunque, ad ogni buon conto, l’unico modo possibile di rappresentare me stesso.
Questo modo di procedere non risparmia neppure il titolo della raccolta, “Un poeta borghese”, se solo si considera l’apparente controsenso che risalta in questa definizione: e difatti, la natura del poeta, icona dell’uomo libero, mal si concilia con l’essere borghese, ossia con una condizione dell’individuo contraddistinta – oggi ancor di più, nell’era della globalizzazione – dal condizionamento imperante e dall’imitazione dei modelli televisivi: ma… tant’è: oltre a costituire una burla verso me stesso (un’etichetta che sin troppo prevedibilmente mi verrebbe affibbiata), questa definizione intende anzitutto porre l’accento sul nuovo status in cui si trova il poeta oggi, sulla sua natura ibrida e contaminata, sul falso che, del tutto naturalmente, è dato rinvenire in poesia.
Non a caso ho parlato di naturalezza: ed invero il falso, nel componimento poetico, si manifesta in tutta sincerità, giacché, nella vita di tutti i giorni e nella trama dei rapporti interpersonali che quotidianamente intratteniamo, non germina più soltanto dalla mente ma s’insinua fin dentro al cuore, al punto che, al di là dei tanti spunti illuminati o chiacchiere intellettuali che si vorranno intravedere in queste righe, io credo che il messaggio più moderno che si possa trarre da questa raccolta stia proprio in questo: se, oggi, non è più possibile coniugare verità e naturalezza, ecco che la spontaneità recupera un suo spazio, riacquista una sua credibilità proprio nella bugia, intesa quest’ultima, evidentemente, non già quale cinica e razionale menzogna, bensì come espressione emotiva di un io in contraddizione, grado interiore di approssimazione al vero, strumento poetico – tuttora praticabile – di comunicazione. Per cui non è un caso che, in “Un poeta borghese”, mi occorrano 30 bugie per esprimere la mia verità (o, più esattamente, per ridurre il più possibile lo scarto che sussiste tra l’autore che emerge dalla raccolta e la verità insondabile della sua vita).
Il gioco di contrapposizione tra verità e bugia è presente, in questa raccolta, un po’ dappertutto, ne attraversa i livelli di lettura, emerge sotto qualsiasi profilo la si voglia esaminare: oltre al titolo, che sfoggia un apparente paradosso, basta soffermarsi sul modo alternativo con cui i concetti “poesia” e “prosa” sono impiegati, ottimi catalizzatori in + o in – dei significati che, dietro allo schermo della loro metafora, vi transitano: così “poesia” rappresenta sia la sintesi dei valori più alti (l”umana poesia” che, in “Cicciuzza”, quando sia vissuta in una dimensione individualistica, svilisce al rango di “estetica prosa”), sia un mero giocattolo solipsistico, di auto-compiacimento, per la sua distanza dal reale (le “ermetiche belle” di “Sono un poeta”, rispetto alla “prosa di ignoti poeti, più chiara e solare”). Analogamente, al poeta del corpo di “Sono un poeta” (“io intendo il linguaggio del cuore selvaggio / e rendo verbale il suo idioma animale”) si contrappone il poeta dell’anima di “Sono un poeta (II)”, ancora elegiaco e auto-commiserativo (“Mi presento, sono un poeta: / un esteta con malinconia, / un atleta senz’altra energia / che non sia il pianto a guidarne la mano”), ovvero auto-referenziale (“un artigiano di rime e stornelli / che lavorando di lima e scalpello / trasforma la prosa volgare / in prosodia”).
Infine, la funzione della bugia, il suo recupero in senso “morale”, ispira anche a livello formale la raccolta, laddove, nell’attimo stesso in cui enfatizza il valore della prosa in poesia (ovvero, che è uguale, l’immissione dell’elemento di realtà nell’elemento estetico) non rinuncia tuttavia ad inseguire un ideale di armonia, come testimonia la scelta di un verso musicale e, talora, la sperimentazione di soluzioni stilistiche nuove: ci si riferisce, ad esempio, al doppio chiasmo incrociato, presente nelle strofe in corsivo della poesia “Via Tasso” (AB / CD / DC / BA) ovvero alla tecnica degli inizi di frase che si risolvono nel loro contrario, come nell’ultima strofa dell’ultima poesia della raccolta “A Mariella”, anch’essa solo in apparenza un omaggio, dove le parole “anima”, “scrivo”, “poesia” e “passato” si rovesciano in “corpo”, “leggo”, “prosa” e “futuro”, quasi a voler consegnare alla suggestione di un paradosso, estrema sfaccettatura in cui si esprime la bugia di questa poesia borghese, non solo il significato di quella poesia o di tutta la raccolta quanto, alla fine dei conti, il bilancio di un’intera vita.