Bologna, via S. Stefano 119, Sala Marco Biagi – 10/10/2013

LA POESIA IL SUO PERCORSO E LA SITUAZIONE ATTUALE: SI PUÒ PARLARE DI CRISI O DI EVOLUZIONE?

Provo a rispondere alla domanda che è oggetto di questo incontro: se la poesia si trovi in crisi o in evoluzione. La risposta, che può apparire ovvia, è: tutt’e due! La crisi è davanti agli occhi; l’evidenza della crisi, tuttavia, reclama con urgenza un’evoluzione della poesia ed una correzione della sua rotta, nei termini che a breve proverò a indicare.

Anzitutto, qual è la ragione della crisi? A mio avviso la responsabilità non è della poesia bensì dei poeti, almeno di una grossa fascia di suoi rappresentanti; è da imputare ad un certo novecentismo, tuttora piuttosto radicato, che ha letteralmente abolito l’emotività in poesia e mostrato disprezzo per la dimensione lirica, per il canto, per una concezione della poesia che sgorghi dall’io e dalla propria emotività, prestando il fianco, in tal modo, ad una riduzione della poesia a gioco solipsistico, a prezioso intellettualismo, ad ostentazione razionale della sua incapacità di comunicazione, dell’inautenticità del linguaggio da cui attinge, calati all’interno del testo a livello di meta-discorso poetico, con la conseguenza di una sostanziale illeggibilità dei suoi prodotti ed un generale distacco del lettore medio dalla poesia.

Come può evolversi? Evidentemente con un’inversione di tendenza: con la riappropriazione della dimensione emotiva quale centro dell’ispirazione poetica e con l’arretramento della razionalità estetica nei suoi giusti confini, prima che le fosse permesso di debordare in spazi che non le sono permessi; mi spiego meglio: se è vero che l’atto di produzione poetica consta di due fasi, quella “ricettiva”, rivelatoria, che è emotiva ed istintuale (fase c.d. estatica) e quella successiva, di razionale affinamento stilistico, che è culturale (fase c.d. estetica), è altrettanto innegabile che il Novecento ha sottratto alla fase estatica il momento generativo dell’atto di produzione poetica e l’ha trasferito nel secondo momento, quello estetico-razionale; sennonché la capacità di comunicazione in poesia si realizza solo all’interno della prima fase, quella emotiva ed istintuale, per cui l’attrazione dell’atto poetico nell’orbita della seconda ha privato la poesia della sua tradizionale capacità comunicativa, decretandone la crisi attuale. L’arroganza del Novecento e delle sue correnti più estreme si è spinta al punto di confondere le due fasi perfino nella ricostruzione storica dei processi poetici, dal momento che il passaggio dall’antica mimesis alla moderna estetica, dall’antica imitazione alla moderna invenzione ha riguardato sempre e soltanto la seconda fase, attesa la sua valenza culturale, e non già la prima, che è immanente e connaturata all’atto poetico e la cui espunzione dall’atto poetico, pertanto, mina in radice la stessa possibilità di fare poesia.

In conclusione, a mio parere è profondamente errato sostenere che l’abbandono dell’emotività e del canto in poesia costituisca un segno inequivocabile di modernità letteraria, come si tende a dire da parte di una certa intellighenzia politicamente orientata; è tempo, cioè, di riconoscere la natura eminentemente “politica” di una tale posizione, la sua valenza marcatamente ideologica e, pertanto, nata come un proclama d’avanguardia, rassegnarsi a considerarla essa stessa come una posizione superata dai tempi, datata.

Per non cadere, tuttavia, nella tentazione di un riflusso, di un anacronistico ritorno al passato, va chiarito che la vera sfida della poesia del terzo millennio consisterà nella capacità di far coesistere nel testo rottura ed armonia: come la poesia pre-novecentesca costituiva una lastra di vetro liscia e unitaria, ancorata com’era ai canoni normativi fissi e chiusi della tradizione; come il novecento frantumava tale unità in miriadi di schegge che dessero conto della caotica e per certi aspetti oramai indecifrabile società individualistica e postmoderna, così c’è da augurarsi che la poesia del 2000 riesca a ricomporre tali pezzi frantumati dando vita ad un mosaico, al tempo stesso frammentato ed unitario: ovverosia, sul piano stilistico, che sappia utilizzare le soluzioni di rottura lasciateci in eredità dal secolo scorso alla luce di un nuovo progetto lirico.