SICULADRIATICA
Sei tu, questa volta, la mia musa ispiratrice
estetica Lilia estatica
araba fenice ed artica chimera
sicula pittrice ed adriatica ingegnera
si accettano scommesse:
sei tu, questa volta, la mia ultima frontiera
Lattee gambe dai muscoli negri
petali neri su un candido gambo…
Ginniche spalle su un esile stelo
morbide chele di ricci capelli…
Mappe di vene su un’algida pelle
coppe di stelle i tuoi piccoli seni…
Lucidi astri dalle iridi verdi
liquidi fiordi di ludici incastri…
Bachi e farfalle dipingi ai bambini
buffi pinguini, scie di lumache…
Tu però in Eni ci stai fino a sera
e da ingegnera risolvi problemi…
Vinci concorsi di foto e disegni
vivi a Bologna e del sud hai rimorsi…
Vivi da sola e ti ammanti di nebbia
ami la sabbia bruciata dal sole!
Sei tu, questa volta, il mio asso nella manica
atletica Lilia asmatica
la versatile mia punta
con cui affronto la mia vita
la mia prossima giocata
si accettano scommesse:
sei tu, finalmente, la mia ultima puntata
I GABBIANI DI TOSSA
I gabbiani di Tossa
ci assordano al mattino
con quel loro vociare
alle prime luci dell’alba
ci fanno capolino
dalla persiana aperta sulla notte
si radunano a frotte
e in fretta si dileguano
con quel loro stridere rauco
tappezzano di bianco le ripide scogliere
tempestano di ali l’oceano glauco
per poi ritornare…
Due di loro, in particolare
stanno di vedetta su una torre merlata
in cima al bastione di una città fortificata
si sporgono proprio sul nostro terrazzino
i gabbiani di Tossa
di Turissa i guardiani
ci portano fin sul letto gli accordi del mattino
quando, ad un tratto, trasali
e ridendo, ad occhi socchiusi
ne imiti comica i versi:
“Uij, Uij, Uij,
Klà, Klà, Klà, Klà”
le intatte note di natura
mentre io, da estetico notaio
di postuma scrittura
mi alzo a registrare questi tuoi
– addì, sei di settembre del duemila decimo anno –
versi felici
tersi di luce
persi nel sonno
LA CASA DEGLI UCCELLI
Un rudere di pietra dilavata
all’ombra dei carrubi
un rustico di calce lapidata
tra i rovi delle ortiche
varchiamo, nell’Irlanda di Sicilia
Qui, nella casa che è affollata
da folate e da un casino
il passato è una ghirlanda
il futuro un lumicino
dalla giostra di un battente
a noi fa capolino
la piastra incandescente del mare
sullo sterco fatto secco ci appare
un uovo immacolato
azzurrino
RISVEGLIO DEGLI AMANTI
Lento
il tempo si posa
sulle ciglia
Una luce sospesa
un sospiro sopito
si attorciglia
MATRIMONIO DI ACQUA E PIETRA
Nascosta tra colonne
di storia e di cultura
rinasci al desiderio
di essere natura
e dietro…
il lastrico accecante del mare
è un talamo allettante:
ti volti e ne assecondi
l’incedere oscillante
il moto dell’acqua che frange sul mito di pietra
il tempo che fluttua nel tempio
e a riva sull’onda
sbracciandoti arrivi
deriva profonda
deriva dei sensi
delirio di amanti
B-I-469
Tuffarsi tra riverberi d’argento
alla foce dell’Irminio
e dopo rotolarsi
nell’oro delle dune
quando… a un tratto
B-I-469
(sottotesto in lingua araba)
con lo scafo capovolto verso il mare
ed io che v’immagino un anfratto
dove entrare a far l’amore…
E tu che dolcemente mi ricordi
che quello non è un letto senza veli
ma un legno senza vela
che un tempo fu uno sbarco senza porto
questa barca da diporto
il cui alloggio troviamo tappezzato
dalle alghe e da una vecchia ragnatela
DOVE VA LA POESIA?
Oggi che il metro è un utensile esposto
nel museo di storia letteraria
e la lirica è fola, una favola arcadica
una forma leziosa di vieta accademia
(di una bellezza classica, si:
come un piattino di Limoges
come un cristallo di Boemia…)
Oggi che la tua missione è terminata
(giusto un secolo e mezzo fa
Baudelaire giudicava i poeti
declassati, disgustati, disoccupati…)
e la tua voce ci appare scaduta, guasta
quanto una merce avariata
(dapprima la parola ci è stata cantata, e volava e si librava inver le stelle;
dopo ci è stata narrata, e correva e scorrazzava on the road;
ora si è persa nei laborintus dell’io, nei triperuno del senso,
nella caosmogonia dei tempi moderni…)
Quando finanche il moderno è passato di moda
ed un tossico percolato nulla ci dice
più di quanto ci esprima
un bucolico pergolato…
Quando perfino il tuo campo minato
dal più incendiario movimento
estinta la fiamma e disperso il suo fumo
si mostra per quello che è:
il campo arato di un nuovo convento…
Dov’è quella terra che voglia ospitarti
inviso poeta
quale la meta del prossimo viaggio
quanta la gente disposta a cercare
la verità nel tuo fatuo messaggio
l’eternità che sta dietro al miraggio
deriso profeta?
DAL DIARIO DI ARCADIA
Gracchia la cornacchia
nella quiete del mattino
gracchia la cornacchia
mentre dormi a me vicino
nella timida luce dell’alba
io mi alzo e mi stiracchio
ed entro
nel salone che risplende
Cigolo sul dondolo
mentre sono in postazione
cigolo sul dondolo
e piloto un avamposto
infestato dalle luci del molo
di questo turistico, spettrale porticciolo
che irradia la stanza di un azzurro siderale
cigolo sul dondolo
e manovro l’atterraggio di un’arcadia
su un astro sconosciuto, scampato ad un naufragio
Se solo potessi contemplare con lo sguardo
oltre la cortina degli scafi
la vastità di quell’oceano selvaggio
di cui tu perscrutavi, con occhi di bambina
le burrasche e le correnti
le bonacce ed i tramonti
se solo potessi misurare coi tuoi occhi
quell’alba sconfinata di Sicilia
questa terra di Lemuria
di cui intendi il segreto ancestrale
che oggi custodisci nei tuoi diari
ed esprimi con metafore di vita
(da zolle che piangono nella terra arsa
a pietre che parlano attraverso feritoie…
da venti che spirano e pettinano spighe
ad occhi che guardano e spazzano orizzonti…)
se solo potessi spazzarli coi miei occhi
forse saprei guardare anch’io
nel mare trasparente del passato
per fissarne le immagini più belle
da sorridere ancora
e sottrarle allo scorrere del tempo
che le sbianca e le scolora
in pallidi ricordi cui mi avvento con ghigno di avvoltoio
volatili fiammelle di ciò che non è più
fuochi fatui nella notte, di questa notte blu
Torno a letto e tu sei sveglia
e ti abbraccio, e ti bacio
nella coltre ci avviluppano gli spasmi
ed io che desidero si calmi
quest’angoscia che ho nel cuore
mentre gracchia la cornacchia
e nel porto già si accendono i motori:
sono echi di un mattino che si annuncia alieno e oscuro
rumori di fantasmi calati dal futuro
VENTO CALDO
Vento caldo, brezza generosa
vento che accarezza, le piaghe cicatrizza
che cura le ferite procuratemi viandando:
io e te, seduti su una sdraio
la notte di fulmini aspettando…
Vento forte, vento poderoso
che sgombra dal cielo le nuvole a spallate
le spiega e le svapòra
e l’azzurro dispiega
e la vela che vira
e l’uccello che stramba
e la palma frastorna
e una buia stanzetta, con vista sul mare
che sopra ci aspetta…
Vento caldo, vento che ritorna
ai miei passi di bambino
a remoti, rimossi primordi:
la voce soave di mia mamma
mi acclama in cucina
ed io, beato suo omino
che accorro affamato
senza pensieri
senza distanze
senza ricordi…
UN TUFFO AD ALBARELLA
(Marcegaglia tourism)
Sorvolo a piedi nudi
i prati immacolati
tra daini e cerbiatti
nei fiordi mi rispecchio
sui bordi dei ricordi
tra rivoli e vialetti
risciò e pedalò…
Poi, ad un tratto, un salto di trent’anni
e tutto mi sembra turistico
le aiuole curate, le sdraio assegnate
tutto mi appare così… prosaico
e allora Albarella mi rivela cos’è:
favola bella per pargoli al pascolo
comodo ospizio per giovani madri
isola d’ozio per padri in carriera
Sul molo, il boato in sordina di motori frementi
di puntare dritto in Croazia
aggirando per chilometri i vivai
l’isola di ferro del rigassificatore
e i pali d’attracco di muggenti petroliere
– le sirene di Ulisse, qui, sono allarmi intermittenti –
Di fronte alla spiaggia in cui stiamo ancorati
l’idrovora centrale dell’Enel
ha eretto sulla sabbia il suo totem di cemento:
un’alta ciminiera per disperdere i fumi
nell’attigua biosfera, nell’Unesco del Po…
E così, sulla barca in ammollo
la domenica, lenta, trascorre
contemplando satolli e rammolliti
quello strano campanile
su cui un tempo Greenpeace si arrampicò
e lo svago di bambini
che muniti di retini
si tuffano, setacciano, risalgono
con vongole e telline
dall’acqua di schiuma, dall’acqua di zanzare
del loro veneto venefico mare
A RICCIONE
Sono anni che ritorno in questi luoghi
come al culmine di un viaggio
per contemplare con distacco
da adolescente fatto adulto
quelle estati vergini e inviolate
quando al colmo di un miraggio
passeggiavo irrequieto sulla rena:
su questa sabbia di desolazione…
C’è la bassa marea, oggi, a Riccione
rivoli precari si staccano dall’acqua
e ulcerano la battigia
che produce una bava
che ristagna nelle pozze
dove affondano i lettini
sotto il peso di corpi verniciati
che si specchiano al sole
con il mare di spalle…
Sono anni che ritorno qui
e davvero non mi susciti più alcuna curiosità
nessun motivo di attrazione
davvero non ravviso una qualche modernità
nelle tue file baciate di ombrelloni
nelle tue spiagge costose e scontate
nei tuoi bulli da sballo
machi e tatuati
coatti non meno dei romani
cafoni non meno di noi napoletani
con in più l’arroganza di credersi alla testa
di una festa che, invece, gli ha voltato bandiera
è approdata in altre sponde
altri porti elettrizza coi suoi laser
coi suoi flash altre piste galvanizza
sei una Riccione in sottofondo
questa è la realtà
una Riccione che galleggia
sopra una mediocrità
in cui annaspa da un bel po’ l’Italia intera:
tanto tu sei provinciale per lei
quanto lei è marginale nel mondo!
C’è una luce dorata stasera
al punto che mi sembri quasi bella
con San Bartolo in testa
ti sei tutt’a un tratto camuffata
in una vezzosa cartolina
per cercare di convincermi ad entrare nel tuo mare:
ruffiana che si finge compagna
anziana che si fruscia bambina
paese che mi sai di campagna
Riccione contadina
TRAMONTO SULL’ADRIATICO
Pucci il piedino su un’alga
che ti fascia la caviglia
mentre un mollusco ti fa l’occhiolino
dalle viscere di una conchiglia
SEDUTO SUL CIPPO DEL MARINA 70
Condotto per sacche ed acquitrini
con l’alibi di una gita sul Po
son giunto fino a te, fratello
davanti a quest’àncora di mare
dove, anni addietro
io e te già ci sedemmo
sedotti da una quiete
che ancora qui ritrovo
con Lilia, mia àncora di terra
E mi chiedo dove e quando ti abbia perso
in quale abisso dell’infanzia
tu sia precipitato
in quale incastro della psiche
si è formata la tua piaga
(mi ricordo di quando
il tuo corpo era disteso
martoriato dai miei calci
per un telecomando…
o ancora mi sovviene
quella corsa nella notte
e la smorfia di papà
che al mattino ci annunciava
la realtà della morte:
… nonna era morta
babbo taceva
mamma tremava
noi si temeva
pronti i bagagli
fuori a un motel
l’auto era accesa
Napoli a un’ora
babbo piangeva
mamma strillava
noi si stringeva
l’urlo era forte
nonna era morta
casa alle porte
nonna era morta
l’alba era sorta
nonna era morta…)
Ma credo sia vano ricercare un episodio
tra le pieghe del tempo e dello spazio:
per chi, come te, ha sempre traslocato
fatto e disfatto le valigie
di effetti ed affetti personali
il tempo è una clessidra
che sposta solo sabbia;
per chi, come noi, è partito da un arrivo
e da una fine riceve il suo principio
l’orologio del futuro è scandito sul passato
le lancette si muovono al contrario
e il presente è costruito
con il conto alla rovescia
Forse un giorno ti rivedrò
chissà… forse dentro questo mare
dentro questo nulla
dove fatalmente tutto è pace
io ti potrò riabbracciare
e, con te, ciò che di più caro ho perduto
in questa vita, bella e atroce
i luoghi e le persone
le cose e le parole
spero di poterle ritrovare
magari… proprio dentro questo mare
dove non si sente più una voce
dentro questo nulla
che adesso mi libera e mi culla…
E che, giusto dietro questa foce
dove finalmente tutto tace
regni un porto immerso nella luce
TRAPIANTO
Eccomi, infine, a BO
trasferito in pianta stabile
o come si suol dire
trapiantato
inquadrato in pianta organica
in un posto più sicuro
dal futuro meno esposto
nel borghese appagamento
del vivere civile
Ma non illuderti Lilia…
Il tuo nome rima ancora con Sicilia
non solo con Emilia
e lo spirito del Sud
che indomito ci scorre
aborre le fitte goccioline nell’etere sospese
pulviscolo di pioggia sotto un cielo limaccioso
e agogna la luce dei nostri paesi
sporchi ma splendenti;
percorre distese di sabbia e di scarti
lasciati dal mare e dall’uomo
e ai bordi delle strade
accorre alla lotta tra foglie e rifiuti
spazzati dall’uomo o dal vento
che ci vede disertori
e ci spiffera all’orecchio
all’addiaccio dei portici
lungo i campi offuscati
dall’uggioso crepuscolo
di un tramonto di cenere
o di un’alba di cemento
di scheletrici fusti
dai rachitici rami
tra fessure di stipiti
o al calore degli infissi
ci spiffera all’orecchio
il nostro tradimento
BOLOGNA AZZURRA
Alla mia città
Oggi a Bologna c’è il sole…
Come se, dal profondo meridione
un radioso sbadiglio sia alitato fin qua
una stasi di luce
dell’azzurra mia città
l’estasi fugace
I rami degli alberi sono aghi illuminati
il cielo è alto e cristallino
giovani donne passeggiano per strada
con il loro passeggino
la piazza è un allegro schiamazzo
di auto e motorini
di visi sospesi in ascolto
di volti distesi in sorrisi
e a me che riconosco quel rumore
il sangue torna a scorrermi nel cuore