2021
IL BICCHIERE MEZZO PIENO
Salgo nella casa sradicata
per scendere le ultime cose
(da poco è terminato il trasloco)
mi assalgono folate di ricordi
rimbalzano sui muri
papà
ti sto per salutare
Mi accosto alla parete del tuo letto
macchiata del tuo sangue
che gratto con un dito:
perché vivere è un veleno da cacciarsi dentro al petto
Ma da oggi, padre mio, stai sereno
che tuo figlio questo calice alzerà
questo fiele d’ora in poi sorseggerà
e il bicchiere gli parrà mezzo pieno
LE COSE CHE RESTANO
Stamane, ai primi albori del mattino
mi spunta un’idea un po’ curiosa:
riparare l’abito da sposa
di mia nonna, da poco ereditato
Ed ecco quel che resta del passato:
il lurido sudario
di un vecchio manichino smandrappato
un sudicio e lercio reliquiario
Ma io con amore l’ho lavato
ed ora, nella quiete del mattino
mi appresto a discioglierne i grovigli
con pazienza ne districo gli intrichi
dai quali si sprigiona una polvere sottile
che s’invola nell’aria
e si posa sopra il mio pantalone, sulle braccia scoperte
su tutto il lastricato del balcone
E sapessi questa nebbia a quale età mi ha riportato…
Come dentro ad una vecchia galleria
innanzi mi si parano carrozze, cappelli con la piuma
brillanti e sciccheria
la distinta compostezza dei miei avi
ritratti in bianco e nero
e così mi trascorrono due ore
e il fresco del mattino vola via
E adesso mi sorprendo a domandarmi chi io sia
dove mai si celi, la vera anima mia
cos’abbia io in comune col borghese avvocatino
con l’anonimo e modesto scribacchino
frattanto che mi fingo di essere un becchino
di oggetti ormai spirati
colui che allestisca
una degna sepoltura
alle cose che furono vissute
e che pertanto vissero
come le persone
forse più delle persone
di cui raccolsero un bel giorno il testimone:
cose che restano di persone che passano
proprio come l’abito da sposa
logoro e smangiato
che depongo in questo scrigno infiocchettato
***
Quanto a me: che cosa di me vi resterà?
Che cosa mi sopravviverà?
Vi lascio questa mia didascalia:
Delle cose si disse poeta
in memoria di chi prima c’era
dalle rime sbocciate al crepuscolo
come rose fiorite di sera
VECCHIE SCARPE
Spalanco dei ricordi lo stipetto
e ci trovo le mie scarpe
di quand’ero ragazzetto
che ora sono gonfie ed ammuffite
le suole consumate
le stoffe imputridite
coperte dalla polvere degli anni
eppure quante storie potrebbero evocarmi
forse finanche il primo bacio
quanta vita fu percorsa su di loro
quante corse, quanti affanni
quante volte nell’impresa e nella foia
nell’attesa o nella noia
finché non ne smarrissi ogni memoria
conducendomi fin qui
nell’inganno del presente
Pure, un giorno, finiranno nel pattume
nel lercio cassonetto sotto casa
che un camion nell’acciaio triturerà
e poi una ciminiera soffierà
nel firmamento dei rifiuti
nel paradiso degli scarti
nel gran macero blu
come polline del tempo
che non ritorna più
TRE ANNI
“Bruttona!”
“Bruttono!!”
“Cicciona!”
“Cicciono!!”
E intanto, con occhi inteneriti
rispondo all’espressione un po’ furbetta
di chi non sa la vita cosa sia
che cosa tra un poco l’aspetta…
Ed è la prima volta che mi sento
al centro pur vivendo di riflesso:
a un margine da cui il mio cuore batte
lo stesso
“Brutto di un papà!”
“Bella figlia mia!!
“Vuoi bene al tuo papà?”
“Naaa, lasciami stare, vvai vvia!!”
QUATTRO ANNI
E chi mi avrebbe detto
cantastorie e favoliere
ma come avrei potuto sospettarlo
sarebbe diventato il mio mestiere
per farti addormentare quelle sere
in cui mi esorti a impersonare
da Tex ai moschettieri
al Pinocchio di Collodi
al lupo che s’immerge negli studi
così diventa buono
e poi la Donna Brutta
che addenta il tuo pancino con un morso
ma il Buio s’intromette in tuo soccorso
con Dracula e i suoi orrori
nel castello dei mille colori
fin quando la stanzetta si restringe
nel lumino dei tuoi occhi
che calano piano
mentre mi tieni la mano
CINQUE ANNI
(LA RUOTA)
Gira la ruota
poi, a un tratto, s’inchioda:
di fronte a un improvviso doppio senso
un’auto che procede sulla destra
mi allerta del pericolo a sinistra
ed io che sbigottito mi figuro
l’impatto devastante che ho evitato
lo schianto decisivo
che oggi non era destinato
con cui ti avrei privato della luce
Se penso quanti a incroci attraversiamo per la via
se penso a quante svolte noi imbocchiamo…
Ora, per esempio, c’immettiamo in una gita
sull’asse attrezzato di un fine settimana
mentre tu, ignara, cincischi con l’iPad
legata alla carlona
sul tuo seggiolino
ma lascia che arriviamo bimba mia
lascia che ti stringa
per non lasciarti più
per stare sempre assieme
fino a un altro giro della ruota
figlia mia
fino ad un futuro crocevia…
SEI ANNI
(RAGGIO DI SOLE)
È spuntato il sole qui a Bologna
dopo giorni di tetro cielo
tu che soffi via
dal mio cuore la malinconia
il grigiore della vita quotidiana
ora mi dai un bacio e scappi via
verso l’atrio della scuola
con quelle tue gambine
esili ma forti
tutta incappottata
ricurva come sei sotto il peso del tuo zaino
mentre grido “divertiti e impara”
corri fiduciosa verso i tuoi amichetti
incontro al tuo mattino
Ed ecco che suona la campana
intanto che sparisci dalla vista
il pensiero che ti avrò nella mia sera
è il sollievo che mi resta
SETTE ANNI
(DISTACCO)
Figlia mia, chissà perché
quando sono sul punto di partire
mi assale uno sconforto
quasi fosse il mio ultimo addio…
Sarà questa foschia c’è nell’aria
bimba mia
sarà quest’allegria così precaria
davvero non so da dove venga
questo nodo che mi stringe la gola
questo cappio che mi occlude ogni parola
Sarà questo nostro cammino
che lento ci sospinge lontani
su sponde distanti
sarà questo nostro destino
che mentre ci restringe il domani
ci trascorre davanti
OTTO ANNI
Accade proprio quando stai crescendo
che io non trovi più le giuste rime…
Mi resta giusto il tempo di scriverti
che sei tu la mia poesia
mentre, con affanno, mi figuro innanzi agli occhi
la montagna di vita che ci attende
in questa notte insonne
in cui mi dormi accanto
mi godo l’incanto di vederti sbocciare
la gioia sconfinata di esserti vicino
di esserti papà
giorno dopo giorno
il dolce privilegio di affrontare con te questa salita
il crinale della vita
da quando ci leviamo al mattino
fino all’ultimo scalino della sera
dal quale ci lanciamo
tenendo gli occhi chiusi
nel buio della notte
2022
IL SACRARIO
Ho eretto dentro casa il mio sacrario
per il quale ho dissipato
tutto l’onorario
lo guardo di sottecchi ogni mattina
quando esco in tutta fretta, borsa in mano
oppure rincasando verso sera
quando sfatto mi dilungo sul divano
i titoli li ho posti in verticale
li leggo di traverso, come abbacinato
li sfoglio con i guanti più aderenti
li sfilo dalle buste trasparenti
finché ne scelgo uno
che infilo sopra il piatto
ed eccolo che gira
nella pancia come nella stanza
sferra un pugno o rotea una danza
corre un fremito che mi sale fino in gola
una sferza di energia in ogni nota e ogni parola
Ho eretto dentro casa il mio sacrario
per il quale ho dirupato
l’asse ereditario
irrompe alla mia vista quasi fosse un simulacro
per quando calerà il mio sipario
perché dell’aldilà è un surrogato:
è un antidoto al decadimento
è un anticipo di risarcimento
o forse è solamente una mania
una smania di eterno dietro cui si consuma
la mia lenta agonia
2023
L’ULTIMA FUGA
A Sergio
prima della nomina dell’ADS
Sergio
sangue del mio sangue
ancora mi costringi a scrivere di te
del tuo filo che lento si dipana
giorno dopo giorno
come cronaca di una sorte annunciata
di cui siamo testimoni attoniti
sbalorditi spettatori
Ricordo ancora, come fosse ora
quando assieme dormivamo
mano nella mano
sui nostri due letti paralleli
come univamo le forze per affrontare la notte
e sconfiggere il buio, al chiarore di un lumino
Tu, il più generoso dei tre
quando ti trasformi in quel mostro infedele
a cui ti seduce la tua malattia
diventi sordo ad ogni richiamo
refrattario ad ogni consiglio
un narciso impostore
un attore che calca le scene
incline più al male che al bene
Proprio contro di noi
che affrontammo per te ogni impresa
per condurti a una vita più retta
ti acquistammo perfino una casa
con finestre e balconi
che non apri mai
rintanato così come stai
nell’insana prigione di una vita reietta
Ed ora che sono salito a trovarti
e a spalancare le aborrite persiane
ecco che l’aria già circola in casa
tutto ci appare più fresco e solare
dai… scendiamo giù in strada a brindare
alla gloria dei giorni passati
alla memoria dei nostri due vecchi
e godiamo di questa mistura:
la vita è un veleno da assaporare!
Perché già lo so che ti sprangherai
in questa tua stanza
non appena da qui me ne andrò:
nel tuo letto ti barricherai
non vorrai più rimetterti in piedi
e di vomito ti strozzerai
le tue urine farai dappertutto
e vivrai da ubriaco nel lutto
finché dopo un rutto, te ne uscirai
2024
ALLEGRIA DI ESTETICI PRESAGI
A Mauro
Anche tu sei un animaletto selvatico
che quando precipita
dal suo volo pindarico
mesto si ritira a leccarsi le ferite
e sceglie come cura
l’amica solitudine
Poi risorgi come un’araba fenice
ed è un bel conversare con te
al caffè Margherita
mentre, come un arabo felice
ti attorcigli sulla sedia
in attesa del tuo pasto conviviale
caffè, ammazzacaffè e melograno
per scacciare un pomeriggio menagramo
con me che mi appresto in tutta fretta ad annotare
le perle che ti escono mangiando:
“la parola nella sua luccicanza”
“la poesia come sparo nel buio”
“tutto il vero che trapela dietro il lampo”
“è l’inciampo a fare luce sul mistero”
e tante altre ancora:
spruzzi di pasta e sprazzi d’intelletto
per noi non credenti
per noi illusionisti
per noi veggenti passatisti
non rimane che l’effimera allegria
di questi nostri estetici presagi
non rimane che affidarci all’utopia
con questi nostri giochi di prestigi